venerdì 31 marzo 2017

AQUARIUS

 


"Clara è un critico musicale e vive in un piccolo palazzo degli anni Quaranta chiamato "Aquarius", che si affaccia sullo splendido lungomare di Recife. Una compagnia immobiliare ha già acquistato tutti gli appartamenti dell'edificio per farne un grattacielo di lusso, ma Clara è decisa a non cedere la casa a cui è legata dai ricordi di una vita. Dopo i primi approcci amichevoli, gli speculatori ingaggiano una vera e propria guerra fredda con la donna, in un crescendo di violenza psicologica: abituata da sempre a combattere, Clara non ha però intenzione di arrendersi, neanche davanti all'ultima, sconvolgente minaccia" (dal pressbook). 




Fortemente ostacolato e al contempo sopravvalutato per motivi di carattere politico (non soltanto per la plateale protesta cannense contro la destituzione di Dilma Rousseff, ma anche per la presenza nel film di tematiche politicamente connotate), Aquarius rappresenta, al di là di questi aspetti concomitanti, il lavoro più emblematico di Kleber Mendonça Filho. Regista con burrascosi trascorsi da critico, Mendonça Filho (classe 1968) ha concepito nel corso del tempo un universo cinematografico che, frequentando varie forme e formati audiovisivi (VHS, Betacam,DV, HD, 35mm) senza stabilire nette divisioni tra loro, ruota immancabilmente attorno alla città brasiliana di Recife. Un microcosmo deliberatamente ingabbiato che, come recita il titolo del primo cortometraggio che lo ha reso voce di rilievo nel panorama brasiliano (Enjaulado, 1997), gravita intorno a ossessioni ricorrenti: l'insicurezza intrisa di paranoia, la diffusione del terrore fin dall'infanzia (A Menina do Algodão, 2003), il regime mutilante delle prescrizioni domestiche (Vinil Verde, 2004), la repressione sessuale (Eletrodoméstica, 2005), le sconcertanti mutazioni ambientali (Recife Frio, 2009), la mania del controllo fomentata dalle disuguaglianze sociali (O Som ao Redor, 2012) e le surreali aberrazioni urbanistiche dettate dalla virulenza delle logiche economiche (A Copa do Mundo no Recife, 2015).

I miei film contengono degli elementi ricorrenti, dei motivi che circolano. Ma a un certo momento ho avuto voglia di uscire da casa mia dove sono stati girati tutti i miei primi film, ivi compreso Vinil Verde che oggi è un classico del cortometraggio brasiliano. Filmare nella strada (Kleber Mendonça Filho).

Ebbene, questo universo accanitamente “recifecentrico” trova in Aquarius il suo coronamento e il suo perno gravitazionale ultimo. Nella figura di Clara (Sonia Braga), donna sessantenne assediata e insidiata da una spregiudicata compagnia immobiliare che intende demolire la sua abitazione per rimpiazzarla con un lussuoso grattacielo, si fondono insieme tre componenti strutturali del cinema di Mendonça Filho: l'analisi particolareggiata di un personaggio cocciuto e tutt'altro che accondiscendente, l'identificazione della protagonista con l'edificio che custodisce la sua storia e, infine, l'inseparabilità del soggetto dal luogo che oggettiva affettivamente la sua esistenza. Difficile non riconoscere in questa triplice alleanza tra individuo, storia e spazio affettivo un autoritratto per interposta Sonia Braga dello stesso Mendonça Filho: ostinatamente aggrappato alla sua città natale, il regista pernambucano rivendica con Aquarius, film radicale se mai ve n'è stato uno, un'indipendenza irriducibile e non negoziabile, incidendo sul corpo della sua protagonista (non a caso critico musicale, proprio come lui è stato critico cinematografico) i segni di un passato tanto vulnerato quanto vittorioso (la guarigione dal cancro al seno che le è costata l'asportazione della mammella destra). In questo senso l'imperfezione estetica si dà a leggere fin troppo facilmente come cicatrice di vitalità e indisponibilità al compromesso: segno di gloria imperfetta che testimonia l'irriducibilità a uniformarsi, anche se questo comporta un minor potere di seduzione (l'episodio dell'uomo che si ritrae subito dopo aver saputo della sua operazione chirurgica). Una donna e un cinema senza plastica e trucchi cosmetici, insomma, ma irriducibilmente personali, combattivi e vitali.

Avevo un tavolo di montaggio VHS a casa mia, con un monitor in bianco e nero. Ho realizzato numerosi video a piccolo budget. Uno di questi tratta della demolizione di una casa: Paz a Esta Casa. Il film è del 1994 e dura un minuto. Conoscevo la famiglia che viveva lì. Il film realizzava una predizione oscura su ciò che poteva succedere a questa casa. La famiglia era assai contrariata. Ma 23 anni più tardi la mia oscura predizione si è avverata. È allora che ho avuto l'idea di Aquarius.

"Doña Clara c'est moi" sembra dunque essere il motto che attraversa in filigrana l'intero film: intervistata da due giovani giornaliste, Clara ostenta nei confronti dei supporti di registrazione e riproduzione musicale (vinili, cassette, MP3, streaming) la stessa apertura e la stessa disinvoltura che hanno contraddistinto la produzione audiovisiva di Mendonça Filho negli anni '90 ("Ho utilizzato più o meno tutti i formati video esistenti negli anni '90: Betacam, Super VFIS, VHS, Super 8, 8 mm video, U-matic"). Secondo lungometraggio cinematografico del regista di Recife dopo O Som ao Redor (Neighboring Sounds, 2012), Aquarius è del resto un film in cui la rappresentazione di sé attraverso segni tangibili e visibili costituisce inequivocabilmente l'elemento dinamico della vicenda: i dischi, i libri, le fotografie e i mobili che costellano l'abitazione di Clara non sono soltanto oggetti di arredo domestico, ma contenitori di storie, "messaggi in bottiglia" (come illustra Clara alla confusa intervistatrice, riferendosi all'album Double Fantasy comprato in un negozio di dischi usati a Porto Alegre). Questi "oggetti speciali" (altra definizione di Clara) sono custodie di memoria, scrigni che racchiudono il passato personale e familiare: si pensi al mobile della settantenne zia Lucia (Thaia Perez), vera e propria macchina del tempo che catapulta il film dal 1980 del prologo ai momenti in cui la stessa Lucia, usandolo come supporto erotico, faceva l'amore col suo amante decenni prima. Ovviamente questo mobile, ormai divenuto emblema di una femminilità attiva e indipendente in virtù delle connotazioni acquisite, non potrà mancare nella casa di Clara.

Inizialmente volevo filmare il caos urbano di Recife: prolungare O Som ao Redor, ma stando meno nell'osservazione e più nell'azione. Cosa succede quando una cosa, benché molto bella, è giudicata inadeguata e superata in una società? […] Succede la stessa cosa sul piano del paesaggio urbano in Aquarius. Verso la fine del film si vede in campo lungo questa donna molto sottile che torna dal droghiere tra edifici immensi. Sembra non avere niente a che fare con la strada, così inospitale per i pedoni.

Ma se Doña Clara è un ritratto di Mendonça Filho per interposta protagonista, essa, come osservato in precedenza, fa anche corpo con l'edificio in cui vive. Anzi, la stessa esistenza di Clara è letteralmente indissociabile dall’Aquarius ("Me ne andrò da qui solo morta!", tuona al giovane imprenditore Diego in uno degli scambi più accesi del film). Pur essendo la sola ad abitare nell'edificio in predicato di demolizione, lei ne incarna la memoria storica (non è fortuito che l'Aquarius abbia sessant'anni, la sua stessa età), ne rappresenta il cuore indomito e la linfa vitale (anche la riverniciatura della facciata da bianca a blu è segno di questa vitalità inesausta): se l'Aquarius costituisce il corpo architettonico di Doña Clara, Doña Clara rappresenta il documento vivente dell'Aquarius. In questa circolazione di identificazioni (Mendonça Filho/Clara/Aquarius) nella quale la rappresentazione esprime e documenta totalmente l'esistenza, l'attacco erosivo sferrato dalla compagnia Bonfim con l'infestazione di termiti riproduce vistosamente nel corpo dell'edificio la patologia cancerosa (la ragnatela di tunnel come diffusione di metastasi) che Clara ha conosciuto sul proprio corpo ("Sono sopravvissuta a un cancro, più di 30 anni fa, sapete? Ultimamente ho riflettuto su una cosa. Preferisco far prendere un cancro a voi, piuttosto che averlo io", sibila Clara prima di rovesciare sul tavolo della compagnia Bonfim le tavole di legno infestate di termiti).

Questo finale opera a più livelli. Può sembrare ottimista o totalmente pessimista. Ma i primi piani finali sono molto inquietanti, lo so bene… Con delle termiti tutti i documenti della vostra vita spariscono. Distruggono tutti i documenti di questa famiglia.

Ma è proprio a causa di questa dimensione di apologo emblematico che, alla luce delle considerazioni precedenti, Aquarius si rinchiude scientemente in un'idea di piacere cinefilo totemico, chiuso su se stesso e autolegittimante, sacrificando l'ambiguità potenziale delle immagini sull'altare dell'evidenza totale (Mendonça Filho: "Il vero piacere cinefilo è quando incontrate il cineasta e vi dite che un'evidenza lo lega al suo film: il film lo esprime totalmente"). In questa idea di film come documento rappresentativo e certificato biografico del cineasta, insomma, il cinema si tramuta in ufficio anagrafe e riserva protetta, habitat cinefilo in cui crogiolarsi in una visione ingabbiata e tre volte riflessa. Tutto è segno in Aquarius, segno che Aquarius è un tutto: un microcosmo a tenuta stagna dal quale non trapela una sola goccia incontrollata. Cullante illusione di consistenza.
Le dichiarazioni di Kleber Mendonça Filho contenute nella recensione sono ricavate e tradotte dall'intervista rilasciata a Élise Domenach pubblicata su "Positif" col titolo Se sentir proche d'un film, c’est une chose très belle (n.668, ottobre 2016, pp. 25-29). 
Ringrazio Luca Pacilio per la segnalazione dell'interessante intervista.

Già pubblicata su www.spietati.it.